Ma ’ndo vai... se il cloud computing non ce l’hai!

On-premise oppure on-cloud? Ma soprattutto, quale cloud?

Se oggi dovessi fare un’altra startup, partendo da zero, quasi sicuramente mi orienterei verso una forma di cloud computing, magari una delle più estreme, come il già citato FaaS; ma se dovessi calare la realtà del cloud all’interno di un’azienda le cui tecnologie sono consolidate, farei una riflessione approfondita e non mi lascerei affatto condizionare dalle mode del momento, come per il già citato FaaS serverless (notate l’ossimoro, tornerà successivamente!).

Mi trovo piuttosto spesso, indicativamente ogni 9-12 mesi, a valutare l’impatto dell’utilizzo del cloud computing all’interno di organizzazioni strutturate le cui tecnologie sono già consolidate.

Partiamo quindi da alcuni dati: la forma di cloud computing in assoluto più utilizzata - ad oggi, ovviamente - è il SaaS, Software as a Service, i servizi omnicomprensivi erogati in cloud (come la suite business di Google, la gestione del blog aziendale su wordpress.com e così via).

A tal proposito, il dato più significativo è che tra dicembre 2016 e luglio 2017 c’è stato un incremento del 10% nell’utilizzo dei SaaS, quindi direi che piacciono molto (siamo passati dal 64% di dicembre al 74% di luglio di utilizzo dei SaaS all’interno delle aziende); quasi stabile invece l’utilizzo del cloud pubblico (incremento del 4%, dal 43% al 47%) e in crescita del 10% invece il cloud privato (dal 67% al 77%).

C’è quindi un fenomeno evidente: nel 2017 difficilmente si può prescindere da una tipologia di cloud (ma con le dovute differenze tra il privato e il pubblico).

Se avessi però chiesto ai partecipanti al CTO Meeting al Codemotion di Milano 2017 qual è il fattore chiave nell’investire nel cloud computing all’interno delle rispettive organizzazioni sono convinto che molti avrebbero risposto «il risparmio» (così almeno hanno risposto circa il 40% dei CTO di grandi aziende); ma se avessi chiesto, subito dopo, «qual è invece il fattore che più vi spaventa nell’adozione del cloud computing?» probabilmente la risposta sarebbe stata - ancora una volta - «tenere sotto controllo i costi».

È curioso come quello che viene definito uno dei punti di forza del cloud computing venga visto anche come un potenziale pericolo (almeno dal 37% dei CTO intervistati).

Due modalità d’uso del cloud pubblico.

La particolarità di queste risposte probabilmente è dovuta ai due grandi modi per utilizzare il cloud pubblico:

  1. posso trasferire direttamente, uno a uno, le mie macchine virtuali o fisiche che siano sulle nuove istanze in cloud - usando, ad esempio, Amazon EC2 o Google Compute Engine - senza assolutamente modificare il software di sistema o applicativo (se non cambiando qualche indirizzo IP qua e là). Utilizzerò quindi il cloud in modalità IaaS, Infrastructure as a Service
  2. oppure posso riscrivere (completamente) il mio software per utilizzare tutti i servizi che il cloud mette a disposizione: userò allora Amazon RDS invece di installare MySQL oppure Route 53 invece di bind per la gestione del DNS o ancora software applicativo come NS1; Amazon S3 invece di sistemi SAN o Amazon Elasticsearch Service invece di installare e gestire uno o più server Elasticsearch. Utilizzerò quindi il cloud in modalità SaaS, PaaS (ed eventualmente FaaS).

In cosa differiscono le due modalità e perché sono correlate alle risposte precedenti? Perché l’utilizzo di una modalità piuttosto che un’altra ha un imponente impatto sui costi: saranno molto più contenuti nella seconda modalità in quanto Amazon, Google e gli altri cloud provider hanno lavorato molto per ottimizzare i loro stack software per offrirli nelle modalità PaaS, ad esempio; inoltre il pricing model del servizi PaaS è largamente orientato all’utilizzo del servizio piuttosto che alle risorse usate dai server che erogano il servizio stesso.

I costi saranno invece molto alti nella prima modalità, dove sarò obbligato a tenere sempre attive le istanze dei miei server dove sono in esecuzione i software che sfruttano il cloud come IaaS (con CPU, RAM e Storage dedicati): non posso infatti spegnere i miei server database anche se in determinati orari il mio servizio non è utilizzato. Pagherò quindi un tot solo per tenere attivi i miei server database mentre non pagherò nulla (o molto poco) usando il cloud in modalità PaaS in quanto il pricing model è basato sull’effettivo utilizzo.

La scelta vincente (e obbligata) sembrerebbe essere quindi l’utilizzo del cloud in modalità SaaS, PaaS o FaaS. Effettivamente per me lo è, senza ombra di dubbio. Ma questo pone altre problematiche non di poco conto come il vendor lock-in.

Chiudo con una indiscrezione: è stato rivelato da un collega di una grande azienda che fa un ampio - se non esclusivo - utilizzo del cloud, che recentemente hanno assunto una persona il cui ruolo specifico è revisionare l’utilizzo delle risorse per ridurre i costi, in quanto «è troppo facile accendere macchine con un click!».

(fonte dati: 451 Global Digital Infrastructure Alliance)